Una descrizione originale dal punto di vista di chi ha conosciuto da vicino Enzo Ferrari.
É difficile cercare di raccontare l’uomo, descrivere la personalità di Enzo Ferrari, quella che c’è dietro il mito, parlare non solo dei suoi successi, ma anche del rapporto familiare, personale e di quello che aveva con i propri piloti. Eppure, Luca Dal Monte, scrittore ed ex Direttore della Comunicazione Maserati, ci è riuscito nel suo libro “Ferrai Rex”, dedicato all’uomo che ha fatto grande questo marchio famoso in tutto il mondo e che ha segnato un capitolo importantissimo nella storia automobilistica e, in generale, in quella italiana. Oggi le Ferrari sono conosciute come le “rosse” di Maranello, ma non tutti sanno che questo colore non è quello della scuderia emiliana, ma bensì è quello assegnato all’Italia dei piloti automobilisti dalla dalla federazione internazionale agli inizi del secolo scorso.La Ferrari ha fatto la storia dell’Italia e della Formula 1 e tutto ciò non sarebbe stato possibile se dietro non ci fosse stato Enzo Ferrari, un uomo complesso, tormentato, poliedrico e visionario diventato un personaggio celebrato in tutto il mondo. Enzo Ferrari è riuscito a trasformare un suo sogno in realtà, tanto che, in tutto il mondo, è considerato il padre fondatore dell’automobile. Le macchine, in genere, e le Ferrari specialmente, non sono fatte solo da design, motore e dalla sapiente combinazione di caratteristiche tecniche e meccaniche, ma rappresentano delle vere e proprie opere d’arte, manufatti dell’ingegno umano e un condensato di passioni e genialità degli uomini che le hanno rese possibili. La ricerca di Luca Dal Monte è riuscita a indagare gli aspetti meno conosciuti e più misteriosi della personalità di Enzo Ferrari, anche perché di lui si sa solo quello che egli stesso raccontava, ovvero pochissimi dettagli. Grazie all’approccio critico dell’autore e al grande lavoro durato circa 8 anni tra studio e analisi di diverse fonti, dagli archivi pubblici e privati, ai microfilm fino ad arrivare ai colloqui con coloro che conoscevano il grande Enzo, nel libro si può percepire con chiarezza e affetto l’uomo Enzo Ferrari, sicuramente ancor più complesso di cose forse si raccontava ed è stato finora raccontato, ma probabilmente decisamente più interessante.
Ci sono alcuni aggettivi che difficilmente si assocerebbero alla persona di Enzo Ferrari e tra questi c’è “romantico”. Quest’uomo così austero e deciso, ritenuto spesso uno “sciupafemmine”, sarebbe stato, invece, costantemente alla ricerca dell’amore, trovandolo però, forse, solo in pochissime occasioni: è questo quello che emerge dal lavoro di Luca Dal Monte che è riuscito a parlare con persone che sono state molto vicine, a livello personale, al grande Enzo. Il sesso femminile ha avuto una grande importanza per Ferrari, nonostante il mondo delle corse fosse di fatto quasi completamente al maschile. Una definizione veritiera, critica e un po’ cruda di Enzo Ferrari, ma decisamente realistica è quelle che viene data da una donna che lo definì come “un costruttore di automobili e un distruttore di uomini, ma se entravi nel suo cono d’ombra avresti dato tutto quello che avevi pur di non uscirne”.
Enzo Ferrari ha avuto una vita davvero intensa sotto tutti gli aspetti, da quella famigliare che è stata segnata dalla morte del figlio per distrofia muscolare a soli 24 anni, alle vicende aziendali alle vicissitudini personali come i diversi incidenti che hanno coinvolto i suoi compagni di squadra e i piloti della sua scuderia. Nella seconda metà degli anni ’50, infatti, la Ferrari vive un periodo nero: con l’incidente della Mille Miglia a Guidizzolo e la morte di alcuni piloti, Enzo Ferrari viene messo sotto accusa dallo Stato e dalla Chiesa che, proprio in quel periodo, aveva un grande peso. Quello che contraddistingue Enzo Ferrari, però, è il suo ottimismo che permane anche in una situazione così critica e che gli consente di vedere la luce in fondo al tunnel. Ferrari continua nel suo lavoro, non perde le sue “cattive abitudini”, come lui stesso le definisce, e supera anche questo momento: finalmente verrà scagionato dallo Stato italiano e dalla Chiesa cattolica che farà proprio la tesi di Ferrari riconoscendo che il costruttore non ha colpa.
Di Enzo Ferrari si dice che avesse “il pelo sullo stomaco”, un espressione per sottolineare il suo temperamento freddo e a volte privo di scrupoli, tipico di tanti uomini che si ritrovano a capo di un’azienda e che spesso però contrasta con quello che sarebbe il suo modo di fare autentico e naturale. Il Ferrari che viene raccontato nel libro di Dal Monte è una figura più fragile rispetto a quello che viene spesso rappresentato. Sicuramente si racconta della sua tenacia, erroneamente scambiata con arroganza, che fa emergere una forte voglia di arrivare e di aggirare gli ostacoli che egli stesso si è ritrovato ad affrontare nella sua vita privata e professionale, non solo all’inizio.
Quello che forse non si sa è che Ferrari era anche un uomo generoso. Infatti, si è sempre impegnato personalmente per sostenere le cure se i piloti o i loro famigliari si ammalavano, e anche quando i piloti perdevano la vita sulle piste, e allora non c’erano premi, sponsor o assicurazioni, Ferrari si prendeva cura delle famiglie aiutandole economicamente. Quando uno dei suoi collaudatori rimase ucciso provando una vettura, una pratica che allora non si faceva, Ferrari attraverso un sacerdote Don Ruspa, ovvero Sergio Mantovani, fece pervenire alla famiglia lo stipendio che avrebbe percepito il collaudatore fino alla pensione.
Queste sono storie di Ferrari che non si raccontano mai, anzi forse egli stesso cercava di ridimensionare il suo operato e di restare dietro le quinte, magari anche seguendo un po’ i consigli dati a Enzo dalla mamma che gli diceva spesso di non fare del bene se non fosse stato pronto alla mancanza di gratitudine di chi riceve l’aiuto. Anche se si tratta sicuramente di un personaggio enigmatico che aveva piacere nel restare all’interno di questo alone di mistero che avvolgeva sia lui stesso che le sue iconiche automobili, tanto che a volte si firmava con un pseudonimo, “il prode Anselmo”, riferendosi al suo secondo nome, oggi, la figura di Enzo Ferrari, che forse diventa un po’ più chiara e definita rispetto a quanto non lo fosse in passato, quella di un uomo visionario ed eclettico, è paragonabile a Steve Jobs.
Il paragone questo altro big viene quasi naturale e questo parallelismo è di fatto molto attuale perché si tratta di due personalità, due grandi leader e due motivatori. Ferrari è noto per una sua frase che recitava più o meno così: “non sono un ingegnere, ma un agitatore di uomini e di idee” e quello che gli riusciva meglio era proprio radunare attorno a sè alcuni dei migliori talenti, portare avanti una visione e condividerla, lasciar andare gli altri mantenendo però comunque tutto sotto controllo. Insomma, Ferrari è riuscita a creare qualcosa di straordinario per il mondo, un po’ come ha fatto anche Steve Jobs con la Apple.
Anche la scuderia Ferrari è stata una creazione fortemente voluta da Enzo Ferrari e, essendo un vero e proprio pioniere, ha subito saputo dare un’impronta diversa. La scuderia Ferrari fu fondata nel 1929 e ancora oggi è uno dei brand più conosciuti e apprezzati in tutto il globo: dietro questo enorme successo c’è la figura di Enzo Ferrari, ancora presente nella storia e nella filosofia di quest’azienda.
Non si può raccontare Enzo Ferrari, d’altronde, senza parlare di lui come costruttore. La sua passione per l’auto nasce fin da ragazzo e prova a diventare pilota correndo con L’Alfa Romeo. Lui direbbe senza grande successo, ma in realtà sembrerebbe che non fosse poi così’ male come egli stesso raccontava. In realtà, quello che Ferrari diceva è che non poteva fare il pilota per il troppo amore e per il troppo rispetto che nutriva nei confronti delle auto, non si sentiva capace di “maltrattarle” come invece facevano gli altri tra cui Nuvolari, Ascari e altri grandi nomi della Formula 1. Il legame con l’Alfa, che ha visto nascere Ferrari come pilota e come costruttore in erba, rimarrà saldo e presente per tutta la sua vita e anche oltre.
Quando Enzo Ferrari capisce di non avere un grande futuro come pilota, si impegna a fare i primi passi per creare quella che sarà la scuderia Ferrari. Nei primi anni del 1930, i tedeschi sovvenzionati anche in parte dal terzo Reich, potevano contare su mezzi economici consistenti rispetto a quelli posseduti dall’Alfa Romeo. Ferrari non si perde d’animo e dimostra tutta la sua tenacia creando a Modena la bimotore, una macchina realizzata unendo due motori 8 cilindri della P2 con il beneplacito dell’Alfa. Lo stesso si ripete tra la fine del ‘37 e del ‘38 quando Enzo Ferrari crea la 158 Alfa Romeo, una macchina che vince i primi due titoli mondiali pilotata da Farina nel ‘51, più conosciuta come la mitica Alfetta, che nonostante il marchio ha l’impronta tipica della Ferrari.
A un certo punto, Ferrari finisce il suo rapporto con l’Alfa Romeo, come accennato si tratta solo di una risoluzione formale perché poi, questo legame va ben oltre. La liquidazione dall’Alfa Romeo prevede una clausola secondo la quale Ferrari non poteva costruire automobili da corsa dando il proprio nome, ma grazie alle sue capacità, riesce ad aggirare questo ostacolo e prosegue nella sua carriera da costruttore.
Ferrari, infatti, trova un escamotage e fonda l’Auto Avio Costruzioni. Con questa casa realizza due vetture e una di queste si trova ancora oggi presso la più grande collezione di auto e di moto in Italia, la collezione Righini ospitata presso il Castello di Panzano a Castelfranco Emilia di Modena. Le auto vengono vendute al Marchese Lotario Machiavelli Rangoni e ad Alberto Ascari, vincitore del mondiale nel ‘52 e nel’ 53, naturalmente a bordo di una Ferrari, figlio di un compagno di scuderia di Enzo negli anni’ 20 dell’Alfa Romeo. In pratica, Ferrari, non potendo dare il suo nome alle sue realizzazioni, produce le due vetture e le fa passare come richiesta dei due committenti per i quali lui le ha solo assemblate.
Se si chiedeva a Enzo Ferrari quale fosse la vettura più bella mai realizzata, avrebbe sicuramente risposto, come è successo realmente, che la prossima auto sarebbe stata quella più bella. Un’affermazione che sottolinea quanto Ferrari fosse un perfezionista, una personalità eclettica, intelligente che difficilmente si accontentava e aveva sempre lo sguardo orientato verso il futuro. Difficile, comunque, stabilire quale Ferrari fosse davvero quella l’auto più bella dato che tutte,o quasi, portavano la firma del mitico Pininfarina.
Ogni macchina era un pezzo unico e su alcune monoposto Ferrari da corsa spicca ancora il logo dell’Alfa Romeo, un bellissimo rimando al passato, a quel tassello tanto importante nella storia di Enzo Ferrari pilota e costruttore in erba.
L’Alfa Romeo è stato un suo primo amore e, come spesso si dice, questo non si scorda mai. Infatti, ci sono alcuni aneddoti interessanti che sottolineano il legame dell’uomo Enzo Ferrari con questa scuderia dove ha mosso i primi passi. Quando Ferrari riuscì a battere l’Alfa nel 1951, dichiarò di sentirsi come se avessere commesso l’omicidio della madre. Ancora, un ultimo episodio che racconta il legame di Enzo con l’Alfa risale al Luglio del 1988 quando il Drake, allora nella fase finale della sua vita, era letto a Modena e guardava il GP d’Inghilterra in compagnia del figlio Piero. É proprio il figlio a raccontare che dopo la partenza, Enzo Ferrari si assopisce e si sveglia di soprassalto chiedendo come stesse andando la Ferrari. Quando seppe che la situazione non era così rosea, chiese “ma almeno le Alfa Romeo le abbiamo dietro?”, una dimostrazione che l’Alfa è un pensiero fisso tanto che si presenta a Enzo Ferrari anche quasi sul letto di morte.
Enzo Ferrari è sempre stato un uomo all’avanguardia, proteso al futuro e guardare oltre l’orizzonte, non solo per quello che riguarda le auto, ma è stato anche il primo a cercare le sponsorizzazioni per la Formula 1. Quindi, probabilmente, se oggi Ferrari fosse vivo, non è vero che, come si potrebbe erroneamente pensare, che sarebbe contrario ai nuovi gran premi dove si corre in paesi esotici e lontani e in orari diversi dai soliti canonici, spesso anche con la luce artificiale.
Di Enzo Ferrari si potrebbe dire che è un uomo sempre stato in lotta con il mondo, con la Federazione Italiana e quella Internazionale, con i costruttori, soprattutto quelli inglesi che lui stesso definiva “garagisti”, amava la polemica, ma non quella fine a sé stessa, ma perché stimolasse le persone a trovare soluzioni nuove. Si racconta che Enzo Ferrari partecipò alla Formula Indie del 1985, il campionato americano, non solo per la voglia di vincere, ma più per prendere parte a una diatriba tra i costruttori di Formula 1.
Ferrari non bisogno di descrizioni, è stato colui che ha fondato una delle più famose case automobilistiche al mondo, ha creato le macchine più desiderate e l’unica scuderia della storia della Formula 1 che ha partecipato a tutti i Gran Premi dal 1950 ad oggi, stando quasi sempre ai vertici di ogni classifica in ogni categoria sportiva. Negli ann’50 e ‘60, Enzo Ferrari pare che amasse dire che non c’era una domenica in cui una sua Ferrari non vincesse qualche competizione in giro per il Mondo. La Ferrari ha sempre vinto tanto, eppure, come spesso capita, quando ci sono state stagioni in cui non sono arrivati i risultati sperati, Enzo Ferrari non si lasciava prendere dallo sconforto e, anche con la testa bassa continuava a lavorare: “Il lavoro paga” è uno degli insegnamenti che ci ha lasciato Enzo Ferrari.
Enzo Biagi, negli anni ‘70, definì Ferrari come uno dei pochi italiani di esportazione, insieme al grande Federico Fellini. Alla fine, anche dopo un’attenta ricerca, risulta sempre difficile e quasi riduttivo trovare una definizione che possa rendere al meglio la personalità di Enzo Ferrari, l’imprenditore visionario e appassionato che ha creato un sogno.
Lucio Celia
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