Il colore viola, spiegazione di un mito

Non è questione di eclettismo, e tantomeno voglia di apparire e raccontare, piuttosto una decisione di appartenenza, un motivo familiare, quasi di tradizione, voglia di vivere in un solco tracciato da altri. L’inchiostro viola con cui Enzo Ferrari vergava le sue lettere ed i suoi appunti nasce dagli occhi di un figlio, colmi di stima per il padre: “Mio padre scriveva le sue lettere facendo prima una minuta sul retro delle buste che riceveva, poi le batteva sulla piccola macchina da scrivere Royal e firmava con un lapis copiativo. Teneva poi diligentemente copia di tutto nel copialettere bollato, una specie di fotocopia ante litteram che si otteneva con un piccolo torchio a pressione. Gli umidi duplicati riprodotti risultavano, sia nel testo che nella firma, di un intenso colore violaceo. Da quel ricordo, la mia fedeltà al viola…” La firma di Enzo Ferrari, vergata con una penna stilografica dotata di pennino grande e desueto “evidenzia una personalità unica, originale, e al tempo stesso fedele verso le proprie scelte- scrive una rubrica di grafologia su Profilo Donna- sotto l’aspetto grafologico-temperamentale, la firma ci rivela un carattere vitale ed autonomo, molto determinato sia nel prefiggersi gli obiettivi, che nel raggiungerli“.

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La fedeltà al colore dell’inchiostro e alla penna stilografica dimostrano un reale attaccamento alle proprie scelte, la forte convinzione nelle proprie idee, un carattere teso all’autoaffermazione e non per vanità. Non solo dalla grafologia, ma dalle testimonianze che è possibile raccogliere, leggiamo una persona, distante dalle cose futili e amante del buon mangiare e vivere, dotata di forte senso del dovere e sensibile agli stimoli affettivi, incline alla battuta. Con l’inchiostro viola Ferrari nominò Lino Manocchia “cavaliere dello sciacquone”: “Trasmettevo per la Rai (radio) (da Indianapolis) e nella sala stampa l’incaricato aveva sistemato sette telefoni (a muro). Immaginarsi la confusione! In Italia la mia voce sarebbe dovuta arrivare “pulita” senza le interferenze dei colleghi. Pensai così di rinchiudermi in bagno che era situato vicino all’ultimo telefono. Alla fine il collega in Italia, non avvertendomi che ero ancora in linea, mi chiese da dove stavo trasmettendo. Descrissi la cabina e per scherzo tirai lo sciacquone…Inutile dire che tutto passò in diretta. Qualche settimana dopo mi giunse un biglietto, vergato col solito inchiostro viola. Enzo Ferrari mi avvisava che: “ La proporrò senz’altro per la nomina di “Cavaliere dello sciacquone”. Congratulazioni per il suo atto di genio”: Ferrari.” Con lo stesso inchiostro viola il Drake tirò una riga sotto il comandamento “mai più italiani in Ferrari”, tradito poi dalla passione per Michele Alboreto; ogni anno riceveva dalla Cartoleria Olivieri di Maranello un litro di inchiostro viola, colore mantenuto anche nel passaggio ai pennarelli indelebili. La capacità di cogliere il dettaglio e quella organizzativa di elaborare velocemente una strategia si può leggere dalla prontezza con cui rispondeva alle critiche ed al sarcasmo, ma anche all’evanescenza che troviamo in risposta per iscritto alle accuse di “finanziare sia i repubblichini che i partigiani” durante la conclusione del secondo conflitto mondiale. Racconta Michele Smargiassi su Repubblica dell’incontro con Giuseppe Zanarini, già medico condotto di San Cesario, comunista colto, degradato all’incarico di esattore per conto dei Gap per irrequietezza politica. Un uomo dei Gap (Gruppo Azione Patriottica) informò Zanarini che era stata decisa l’eliminazione di Ferrari. Zanarini riuscì a chiudere la vicenda giudicando l’uomo, sigillando il fatto con una richiesta di pagamento di 500mila lire. Questa storia è stata smentita a più riprese, e tuttavia Stefano Ferrari può mostrare una lettera del Drake, inchiostrata di viola, in cui si legge, riguardo alle memorie scritte da Zanarini (che gli erano state inviate prima della pubblicazione): “Conoscevo abbastanza certe cose, altre le ho apprese sorprendendomi“.

 

Lucio Celia
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